Nei romanzi succede tanto, ma si dice poco. Un libro, invece, dovrebbe ricostruire un brandello di realtà senza ricorrere a trame improbabili. E’ il mattino del 16 giugno 2004, a cento anni esatti dal Bloomday originale, quando il ragionier Alberto Cappagalli ha questa folgorazione. Un’idea che mette in pratica la sera, tornato nella sua casa di Commiserate Ontona, ponendosi alla tastiera per esporre i più minuti particolari di quella sua giornata. La febbre creativa lo sostiene per tutta la notte, ma svanisce con l’alba e non torna più. Quel testo di sole venti pagine resta in fondo all’hard disc del portatile per un decennio. Quando il neo-disoccupato Alberto lo ritrova, intuisce che in quelle righe maniacali v’è già tutta una vita in un angolo del nord più industriale. Spiegando con opportune note cosa avessero significato per lui quelle parole, infatti, può ricostruire la propria vicenda e indagare la follia che aveva colpito lui e il suo mondo ad inizio millennio. Una narrazione completata da un ulteriore strato di note. Le compila suo cognato, Daniele Scolari, che dilata l’opera fin quasi a farne una storia sociale della provincia italiana. Il risultato è un romanzo diverso ma godibilissimo, divertente e a tratti comico, sospeso tra nostalgia del passato e meschinità del quotidiano. Un’Odissea minuta, insomma, per denudare le nostre piccole e grandi miserie. Spiegherà ai nostri nipoti chi siamo stati, dice l’autore, perché ci capiscano e, forse, perdonino.
Il romanzo è stato finalista della XXVIII edizione del Premio Calvino. La giuria lo ha ritenuto meritevole di una menzione speciale.